L'ABBANDONO PRECOCE DELLO SPORT

Ecco un altro interessante articolo del CENTRO PSICOLOGIA DELLO SPORT di Macerata

L'abbandono precoce dello sport

Le ricerche internazionali evidenziano la doppia natura dell’abbandono sportivo: da un lato il prodotto di esperienze e relazioni sociali negative (ansia pre-agonistica, assenza di successi, monotonia degli allenamenti, difficile coesione del gruppo, rapporti con l’allenatore); dall’altro  l’abbandono sportivo è dovuto alla difficile compatibilità con gli altri interessi.

Le cause che inducono i giovani all’abbandono dell’attività agonistica possono essere sociali psicologiche e legate alla disciplina. Sociali, poiché i cambiamenti socio-culturali e il progresso hanno determinato nuovi stili di vita giovanili, una vastità di nuovi interessi e tecnologie che potrebbero frenare l’impegno in un’attività che richiede fatiche e rinunce e non paga immediatamente. Psicologiche, in questo contributo si riporta l’interpretazione della Vincenti (1992) che definisce lo sport come un fenomeno transizionale. L’autrice sostiene che se ad un livello superficiale si potrebbe attribuire l’abbandono sportivo alla perdita dell’interesse per lo sport e per l’agonismo,  alla mancanza di successi o all’assenza di tempo e di voglia; ad un livello più profondo si nota che quando lo sport non rappresenta più un’area in cui il soggetto può sperimentare i propri bisogni regressivi, i propri processi di separazione e la propria aggressività, l’attività sportiva diventa un luogo di frustrazione. Quindi l’abbandono dello sport, nella maggior parte dei casi, può essere interpretata come il bisogno da parte del soggetto di trovare altre aree transizionali, in cui poter sperimentare e ricercare ancora soddisfazioni ai propri bisogni profondi. Nei casi più sofferti, invece, l’abbandono sportivo come la fuga da un’esperienza divenuta intollerabile, con un conseguente senso di impotenza e di sconfitta da parte dell’atleta. Se si esaurisce, o si smarrisce, il senso dello sport come area transazionale, i significati che il giovane atleta ricercava nell’esperienza motoria non si trovano più e i vissuti non corrispondono più alle aspettative del ragazzo e l’effetto di ciò è l’abbandono sportivo (Sandra Vincenzi, 1992).

Per concludere, l’abbandono può avere anche cause legate alla disciplina sportiva. Il soggetto, ad esempio, può rendersi conto di essere meno dotato degli altri e, non essere più disposto a misurarsi con loro per non vivere degli insuccessi; in altri casi, il soggetto, può essere stanco dell’agonismo  e di essere trattato come un piccolo professionista troppo sollecitato affinché vinca sempre; o ancora,  può vivere rapporti difficili con la società e con l’allenatore che non lo apprezzano e non lo considerano come desidera. Sono tutte situazioni in cui i giovani, spesso, rimangono coinvolti, e che rivelano sia la debolezza propria di questa fascia di età, sia la cecità o l’egoismo delle persone che dovrebbero educare.

 

 

[1] La psicologia dello sport tende a definire l’agonismo come un comportamento razionale, specifico, intenzionale e determinato dal dinamismo aggressivo. L’agonismo è, quindi, “la manifestazione matura, costruttiva e creativa dell’aggressività, utilizzata culturalmente per l’autorealizzazione  di un individuo, in grado sia di contrastare le tendenze regressive interiori, sia di superare le difficoltà e le minacce del mondo  esterno” (Mismetti, 1984).

 

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